Il fiero alleaten

Galeazzo Ciano detestava Starace. Un po’ perché lui era conte di Cortellazzo e Buccari e aveva studiato (per quel che può capire un fascista) e Starace no, e un po’ perché lo riteneva un grande scassacazzi, cosa che in effetti era. Le adunate, la ginnastica, il saluto al Duce, le folle oceaniche: ecco, Ciano le temeva quanto Starace le amava, perché diceva (più o meno, vado a memoria) agli italiani gli puoi fare tutto ma non gli devi rompere i coglioni. Cioè, Ciano era convinto che la gente andasse blandita e coinvolta, e non trattata come un gregge di pecore. In questo Starace, con le sue veline quasi quotidiane, era un maestro: ogni giorno ne cacciava una, tanto da rendersi inviso al partito e allo stesso Mussolini.

Cioè, Ciano temeva che, perfino durante il ventennio, le continue circolari e decisioni balzane di Starace avrebbero finito per danneggiare il regime.

Ci pensavo ieri, quando ho sentito che De Luca ha ricominciato a parlare di lanciafiamme e di scuole chiuse. Intendiamoci: non intendo minimamente paragonare De Luca ai fascisti, e sono fermamente convinto che lui non sia fascista. Però non posso fare a meno di notare che la sua passione per le ordinanze, da quando è scoppiata la pandemia, ricorda un po’ le manie del povero Starace. Dico umanamente, e non politicamente. Anche perché Starace era devoto, devotissimo, al Duce: il suo era un grande amore, che ovviamente non venne mai ricambiato, mentre De Luca non vede nessuno oltre sé stesso. In questo anno e mezzo è riuscito a cospargersi di un’infallibilità alla quale perfino il Papato ha rinunciato da un bel po’. I ministri? Sbagliano. I Governi? Sbagliano. I sindaci pure. I cittadini poi, non ne parliamo: sfessati, cinghialoni, intenti a gavazzare. Sì, perché l’uomo ama il termine desueto, anche a costo di usarlo a capocchia (quando definisce Fazio, che invece è smilzo e posato, un fratacchione, gioca sull’effetto derisorio e comico del termine, ben sapendo che quello prevarrà sullo scivolone linguistico). Invoca l’esercito per le strade, i cavalli di Frisia, salvo poi sfottere il generale Figliuolo, che potrà anche far sorridere, ma è lui autorizzato a comandare i soldati, e non il presidente della Regione. Immagina, intanto, migrazioni epocali di lombardi ammalati verso l’avvenirista e salvifica Sanità campana, della quale tutti conosciamo l’efficienza e la puntualità. L’uomo non è mai sfiorato dal dubbio, come nella poesia di Cummings: Dev’essere da / vero Carino, mai /non avere punta fantasia.

Adesso leggo che invoca mascherine anche sulle orecchie e invita i ragazzi a non fare gli scapigliati (termine bellissimo, che suona bene come pochi, ma i ragazzi di oggi non sono affatto Praga, Targhetti e i Boito). Leggo che per lui ci vorrebbero 200 Green Pass, non uno, proprio quando sarebbe il caso di calmare gli animi, sedersi e discutere, se non altro per separare i fanatici convinti che nel vaccino ci sia chissà che  da quelli che avanzano dubbi sulle procedure del lasciapassare, senza per questo paragonarsi a Anna Frank.

Personalmente, la vedo dura. Non tanto per colpa di De Luca, quanto per gli italiani: che sono, oggi più che durante il ventennio, disposti a farsi rompere i coglioni.



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