Il bicchiere mezzo pieno

Ciò che va male viene percepito come più rilevante di ciò che va bene. Le informazioni negative hanno quindi su di noi un effetto due volte più potente di quelle positive. In psicologia lo chiamano bias della negatività. È un comportamento che si osserva già nei bambini di un anno. I piccoli sono più sensibili agli stimoli negativi che a quelli positivi. Per noi adulti è lo stesso. Un’azione il cui valore cala del 10 per cento ci rende doppiamente infelici rispetto a una il cui valore aumenta del 10 per cento. Il bias della negatività è innato. I media non ci hanno dunque instillato il debole per le informazioni negative, si limitano a giocarci su con abilità. Ci rifilano una serie di storie sconvolgenti, perfettamente adatte al nostro cervello pieno di preoccupazioni. (Smetti di leggere le notizie, Rolf Dobelli)

Quando vi dico che questi sono cretini, e manco la propaganda sono buoni a fare, non sto scherzando. Finora, vantiamoci, io e pochi altri le abbiamo azzeccate quesi tutte. Non è perché uno è più intelligente di altri (anche se spesso è vero), ma perché, semplicemente, abbiamo messo la carta di musica in mano ai barbieri. E, non ci voleva la zingara, stanno sbagliando tutto lo sbagliabile. Ormai sono così prevedibili che proviamo a ipotizzare uno scenario, e nemmeno il peggiore.

Dunque, a botta di estrazioni del lotto delle 18, di virologi e infettivologi scelti tra i più boriosi e supponenti (eh già, gli scienziati sono esseri umani come noi, e anche tra loro i signorini sopracciò e quelli che si vogliono levare chissà quali paccari dalla faccia abbondano), dopo il patetico ping pong mascherine sì mascherine no, dodici euro un pezzo di stoffa merdosa, vaffanculo tu e le mascherine, e  i tamponi li stiamo facendo a tappeto e poi se non sei in fin di vita manco ti rispondono al telefono, e i test sierologici che li faremo prima o poi vedrai vedrai vedrai che cambierà, forse non sarà domani ma un bel giorno cambierà, e i titoli acchiappaclick e poi se vuoi leggere questa notizia sconvolgente che abbiamo solo noi e dalla quale dipende la vita tua e dei tuoi cari ti devi abbonare, e #stateacasa, e viva l’Italia, dopo tutto questo, dicevo, sta per succedere una cosa. Che è, molto probabilmente, questa:

Ci sono tre gruppi di persone, in Italia. Il primo, che ha i mezzi per resistere per qualche settimana ed è pure dotato di senso civico; il secondo, che i mezzi non li ha e se non esce ad abbuscarsi la giornata se la vede malissimo, altro che Pasquetta e la pastiera, maledetti che non siete altro; il terzo, che ha votato questa mappata di incapaci al governo e che è quindi storicamente un gruppo di cui non ci si può mai fidare.  Ora, questi tre gruppi sanno perfettamente una cosa:

che dello Stato italiano non ci si può, anzi non ci si deve fidare, se si vuole rimanere vivi.

Pensate ai terremotati, che sono rimasti vent’anni nei container, pensate alle ricostruzioni che, quando vengono fatte, fanno schifo al cazzo. E quest’onda di cattive notizie, unita al mare di palle che stanno raccontando, sta ottenendo un risultato ben preciso, e cioè che tutti hanno capito che non esiste nessuna fase 2, a parte quella ordinata dai padroni. Che, oltre a tenere la gente chiusa in casa, non stanno facendo un cazzo. Non i tamponi, non i test sierologici, nemmeno una preghiera seria alla Madonna di Pompei. E che quindi, se usciamo adesso o fra tre mesi non cambia assolutamente niente: se il virus non si suicida, l’unica è restare chiusi ai domiciliari, Ma questo lo puoi chiedere al primo gruppo. Tra un po’, chi ha bisogno di uscire per mangiare (mi dispiace per voi, ma vi è piaciuto creare milioni di precari al limite della sopravvivenza? E adesso vi tocca farci i conti), semplicemente, uscirà. E uscirà anche il terzo gruppo, quelli che saltano le file, che votano per mandare gli imbecilli al governo, che si attaccano al 5G e alla cattiveria dell’Europa, usciranno al grido di e perché loro sì e noi no? E se tanto uscendo adesso o a Natale non cambia comunque niente, tanto vale uscire adesso. E quando questi gruppi usciranno, non basteranno i carabinieri e i militari, a meno che non cominciate a sparare alla gente e a manganellare (nonostante a Genova abbiate fatto un bel po’ di pratica).

Ora, questo scenario è probabile ma non certo, Per evitarlo bisogna: a) che diciate se state facendo qualcosa, cosa, e quanto tempo ci mettete a farlo: una cosa è aspettare i test sierologici e i tempi tecnici, un’altra è star lì a attendere che smettiate di litigare test sì test no come tanti imbecilli capotici, e b) che se dite stiamo facendo questo, poi lo facciate davvero, e non come avete fatto con i tamponi. Se invece pensate di poter tenere sessanta milioni di persone in casa a tempo indeterminato e sparando palle, di qui a un mese andremo incontro a una catastrofe.

Qua non è questione di bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. E’ questione che tra un po’ il bicchiere ve lo chiavano in faccia.

 



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