Di Gattuso Gennaro e della sconfitta di De Crescenzo Luciano.
In genere non scrivo di pallone. Ne parlo, molto, ma solo con chi ne capisce, tipo Marco Ciriello, e almeno ci ammazziamo di risate, ma questo è tutto. Niente, a parte le patrie lettere, attira un numero maggiore di cacciati di casa come il pallone. Niente. Però, forse è il caso di fare il punto su quello che sta succedendo al Napoli e, di conseguenza, a Napoli. Per le femmine e per chi avesse vissuto in clausura, spieghiamo: il presidente del napoli, Aurelio De Laurentis, detto “il pappone” dai suoi denigratori (perché l’infame pretende di guadagnare con la sua impresa), ha esonerato l’allenatore Ancelotti Carlo per chiamare a sostituirlo mister Gattuso Gennaro detto Rino. Ora -lo dico per i malati di mente- il problema non è l’uno o l’altro. Ancelotti è uno degli allenatori più famosi e vincenti del mondo: Gattuso, no. E va bene così. Figuratevi se mi schiero per principio dalla parte di chi vince. Anzi. Però, nella cacciata di Ancelotti vedo qualcosa che non mi piace affatto, vedo il ritorno di cose che covavano sotto la brace e non è un caso che siano venute fuori in questi tempi bui.
Ancelotti era -è- uno che dice che i calciatori, a quel livello lì, dovrebbero essere in grado di gestirsi da soli: magari anche presentarsi ai campi col proprio staff. Gattuso è quello che, riportano con gioia i giornali, urla ai suoi (in allenamento, eh) avete un minuto soltanto per bere! Il che andrebbe bene se fossimo su Arrakis e i calciatori non avessero a portata di mano una tuta fremen, ma a Castel Volturno ti potrai ben concedere una pausa dissetante di due o trecento secondi. E non so a voi, ma a me la retorica dell’uomo forte, oltre a farmi pensare a chi sapete voi, mi fa proprio schifo al cazzo umanamente. L’uomo forte, il sergente di ferro, è quello che ti fa stare un’ora in più in ufficio perché può farlo. E’ il cliente della partita Iva che chiama alle undici di sabato per dirti che il logo lo vuole più grande, perché sa che non puoi fare a meno della sua fattura a sei mesi. E’ ovvio che non parliamo di Gattuso e dei suoi giocatori: sono tutti milionari, facessero un po’ il cazzo che gli pare: per me possono anche accoltellarsi, sono cose da ricchi che non possiamo capire. Però parliamo di Napoli, che subito si appecorona all’uomo che urla. E che però una volta non lo faceva. Non quando c’era De Crescenzo, per esempio. Le lezioni del professor Bellavista comprendevano le elucubrazioni del poeta, i consigli del vice sostituto portiere e i guai dello scopatore. E’ vero che la Napoli di De Crescenzo non è mai esistita, e che lui stesso la sognava e ce la proponeva come modello ideale, ma è anche vero che aspirare a qualcosa di bello è sempre meglio che accontentarsi sempre di qualcosa di brutto. E uno che ti deve urlare in faccia perché tu non stia lì a ciondolare durante gli allenamenti non è una cosa bella. Per estensione, passa di nuovo l’idea del napoletano che, se non lo prendi a calci in culo, sta tutto il giorno a strafocarsi di taralli.
Il difetto di Napoli è che se c’è una cosa negativa, la prende e la fa sua. Così, se il belga Mertens viene adottato dalla città e chiamato amichevolmente Ciro, invece che Dries, allora sono cazzi. Perché se sei Dries, allora sei un professionista carico di milioni, mentre se sei Ciro sei il guaglione del bar che sputa nel caffè perché il masto non ti vuole pagare più di cinquanta euro alla settimana. E invece di vattere il masto, sputi nel caffè del disoccupato.
Dice, ma Ancelotti perdeva.
E noi quando mai abbiamo vinto, scusate? Ve lo dico io quando vincevamo: quando De Crescenzo faceva sfottere Wesselmann da Benedetto Casillo, abbiamo vinto. Abbiamo stravinto con Troisi che diceva ma che, un napoletano nun po’ viaggia’, po’ sulo emigra’? Abbiamo vinto due scudetti con due allenatori algidi e silenziosi come esattori delle tasse. Ottavio Bianchi e Albertino Bigon. Così, si vince.
Se volete vincere con le tarantelle usatemi almeno la cortesia di vestirvi prima da Pulcinella.
Le ultime parole fumose