Vestitevi aggarbati.

E’ da ieri che discute (nel senso che io discuto) su Facebook per questa cosa del dress code scolastico. In poche parole, con l’avvicinarsi della bella stagione, molti dirigenti scolastici hanno sentito la pressante esigenza di invitare gli studenti a un abbigliamento serio e composto, evitando, che so, abbigliamenti balneari. Il che, immagino, escluda costumi da bagno, secchielli, palette, racchettoni e super santos. Mi sembra giusto: la scuola è sacra, e va rispettata anche nell’abbigliamento. Indossare un pantalone che lasci intravedere addirittura una mutanda o una maglia a mezze maniche è chiaramente una mancanza di rispetto. Siamo d’accordo, e i giovani credo si meritino questo giro di vite; ma perché so già che ubbidiranno come pecore a queste regole ottocentesche, so già che non avranno il coraggio del giovane Manzoni, che si tagliò il codino in segno di ribellione. Mi piacerebbe che si presentassero a scuola col costumino Speedo, la canotta bianca e gli zoccoli Pescura che fanno clack clack, così, giusto per disturbare la sacralità di un luogo che tutto dovrebbe essere, tranne che sacro.

Ci sfugge che la scuola è il posto in cui i nostri figli passano più tempo in assoluto, che è il posto in cui si formano, e soprattutto ci sfugge che lo fanno con, se gli va bene, o contro, se va come deve andare, noi adulti.

Noi vecchi.

Ed è lì che dovrebbero imparare le cose fondamentali: l’amore per la cultura, il rispetto per gli altri (non solo per l’extracomunitario che fa tanto scuola cool, parlo dell’altro che non siamo noi), e invece si trovano di fronte dei vecchi che gli impongono di vestirsi in un certo modo. E poco importa che a quegli stessi vecchi sia stato rimproverato il loro abbigliamento adolescenziale da genitori, presidi e maestri, e che adesso vadano in classe a insegnare o in segreteria ad amministrare con gli stessi abiti che quarant’anni fa erano considerati scandalosi. Il principio è: a chi tocca nun se ngrugna, come al solito. Ho sofferto io, e adesso devi soffrire tu.

Sfugge, a noi vecchi, il principio stesso che vogliamo insegnare ai ragazzi; pretendiamo dir loro che è indossare una maglia senza maniche è mancanza di rispetto verso gli altri (che poi non sono gli altri, ai ragazzi frega un cazzo di come si vestono i coetanei, quello che ci interessa siamo noi vecchi e le nostre turbe da stronzi), e perciò gli imponiamo di non indossarla.

Per conto mio, mi riservo il diritto di schifare i giovani per motivi più seri e profondi, per gli stessi motivi che mi facevano schifare i vecchi di quando ero giovane io: il conformismo, il disprezzo della cultura, la mancanza di solidarietà, l’accontentarsi sempre del meno peggio a prescindere, il desiderio di essere come tutti. Mi serve un motivo più serio di una maglia scollata o una minigonna per schifare una persona, e non sono ancora così fascista da dire ai ragazzi di indossare l’orbace, seppure sotto forma di jeans e maglioncino, preferibilmente pastello, non sia mai che i colori accesi turbino meno e andropause varie.

Senza contare che, col passare dei decenni, se c’è una cosa che ho visto coi miei occhi, è che tutto quelli che mi dicevano (e ancora lo dicono, nel mio caso la cosa si ripete da quarant’anni), guaglio’, vestiti aggarbato, hanno sempre, inesorabilmente, vissuto delle vite da due soldi.



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