Non è giusto.
Con quello che i renziani chiamano pomposamente jobs act (è tipico dei buzzurri sparare parole straniere a cazzo di cane nel tentativo di sembrare e sentirsi persone acculturate), questo paese si sta definitivamente affossando; quello che non era riuscito a due guerre mondiali, vale dire distruggere una nazione, sta succedendo adesso per mano di quattro scarpari. E tuttavia, non riesco, ancora davvero non riesco, a dare la colpa di questa sciagura a quelle poche decine di giovanotti odiosi, brutti e livorosi che sono riusciti a occupare le stanze del potere. Il fatto è che è tutta una questione di ruoli. Non possiamo chiedere a questi scafessi di guidare un paese: non solo non ne sono capaci (non c’è bisogno di metterli alla prova, basta guardare quegli occhietti porcini, quei modi sgarbati e irrispettosi, quelle quattro frasette twittate male, per capire che è gentarella, più che gentaglia). Onestamente, da Renzi non mi aspetto niente di più di quello che ha fatto, sta facendo e che purtroppo farà: è la sua natura, che lui tra l’altro non nasconde affatto. Non è colpa sua. Lui è la malattia, non possiamo pretendere che faccia la cura. Ecco perché non mi piace chi sbraita contro il governo, perché solo un coglione può pensare che se dai i cannoni a Bava Beccaris quelo poi ci faccia il tiro a segno coi meloni: lui spara alla folla, perché è Bava Beccaris.
E il problema non è nemmeno fermare Bava Beccaris, non più. Il problema è che sono le persone che applaudono il generale mentre spara sui loro stessi figli.
Dice ma l’applauso non miete vittime. E invece le miete eccome, perché si sa che i generali tendono a ringalluzzirsi di fronte a masse plaudenti. E allora io mi chiedo da dove nasce il desiderio di applaudire il generale, e mi rispondo una cosa che sembra marginale ma che io invece credo sia fondamentale, e cioè dal fatto che non esistono più gli intellettuali. E guardate che quando parlo di intellettuali, non mi riferisco agli scrittori o ai giornalisti, di quelli ce ne sono pure troppi, ma dell’intellettuale come lo vedo io, come l’ho sempre visto io. Per me, l’intellettuale è uno che quando parla, quando argomenta, ti fa vergognare. Di te stesso e delle tue idee; è uno che affronta il mondo, la vita, il pensiero, in maniera magari sbagliata, ma con rigore e onestà. Uno che sposta il discorso su un altro piano, differente: migliore. Uno che, per capirci, non parla proprio la stessa lingua della Boschi, uno che non ne comprende il livello mentale. Uno che ti fa capire che esiste un livello etico superiore agli ottanta euro. E ovviamente, quando parlo di intellettuale, io intendo solo e unicamente un intellettuale di sinistra (non de sinistra, capitemi); non mi basta la cultura, anche Pavolini era colto, e si è visto di cosa è stato capace l’uomo colto in questione. E’ che certe cose devono partire da assunti intoccabili. Ci pensavo nei giorni scorsi, durante la bagarre Benigni sì, Benigni no, Benigni guadagna troppo o troppo poco; bene, in mezzo a tutte le stronzate che ho letto, tra cui il fantastico assunto salumieristico secondo il quale fa guadagnare quindi deve guadagnare un botto, solo Daniele Sepe se ne è uscito con un concetto semplicissimo, eppure fondamentale, e cioè che guadagnare così tanto non è giusto. Tutto qui. E c’è, nella pacatezza e nella categoricità di questa affermazione, tutta la sostanza del ruolo dell’intellettuale come dovrebbe essere e come non è più. Dicendo questa semplice cosa ci ha riportati tutti sulla terra, e non nel mondo delle chiacchiere da talk show in cui si esibiscono centinaia di deficienti raffazzonati che passano per giornalisti e intellettuali, e che si arrampicano su specchi macchiati di sangue altrui per giustificare nefandezze indicibili. Quando si invoca il licenziamento di lavoratori che difendono i loro diritti dicendo che c’è un esercito di giovani pronti a sostituirli in cambio di una salario da fame e nessun diritto, è qui che l’intellettuale deve, e dico DEVE, alzarsi in piedi e dire no. Urlando, se necessario. A male parole, se serve, ma chiaramente, senza ascoltare ragioni, perché le ragioni che vogliono la schiavitù non sono, semplicemente non sono, ragioni: sono barbarie da coprire prima di ridicolo, poi di sdegno e poi, se è il caso, di botte.
E invece noi, di intellettuali, non ne abbiamo più. Abbiamo invece una compagnia di giro di patetici morti di fame pronti a vendersi il culo per due lire o per scoparsi una racchietta. Gente che parla male, scrive male, e soprattutto, pensa peggio. Gente che quando parla non solo non ti fa vergognare della pochezza delle tue idee, ma che nella migliore delle ipotesi dopo tre secondi ti sei dimenticato cosa hanno detto, come fai con gli oroscopi, perché la verità è che non hanno detto un cazzo di niente. Gente che, relativizzando tutto, ha colpevolmente (nel senso di volontariamente) dimenticato che esistono dei valori assoluti dai quali la società potrà anche prescindere, ma un intellettuale no: non può, mai, e soprattutto non deve. Se non ragioni così, i libri che scrivi sono merda, è merda la musica che suoni, fa schifo l’articolo che pubblichi, a prescindere da quanto ti pagano o dal numero di ritardati mentali che ti applaude: ecco, al massimo potrai essere un saltimbanco, uno che fa il giro col piattino di fronte al potentuccio di turno, ma mai, e dico mai, un intellettuale. Per questo dico che non sono i renziani che sono pericolosi; e non chiedo nemmeno, alla Petrolini, che il loro vicino li butti de sotto, ma almeno uno che si alzi in piedi e che gli dica che non è giusto, e che il desiderio di essere come tutti è una cosa ammissibile solo se sei una pecora.
Tenetevelo, il desiderio di essere come tutti: io voglio essere migliore, per avere la gioia di scoprire ogni giorno che c’è un mare di gente migliore di me.
Qualcuno che dica non è giusto, e che mi faccia vergognare.
Diciamola ancora meglio: non è giusto che il guitto della situazione guadagni così tanto QUANDO UN COMUNE CITTADINO GUADAGNA COSI’ POCO. Non ce ne fotte niente di quanto guadagna Benigni o Napolitano o Marchionne, ce ne fotte che un precario non guadagna QUANTO DEVE. E no, io non penso che le due cose siano necessariamente collegate.
Per dire che la ricchezza non è giusta basta un papa francesco qualsiasi.
Per tutto il resto completamente d’accordo. Ma gli intellettuali VERI esistono, anche oggi, ed è antica tradizione italica che i migliori non siano cacati di striscio, almeno finchè sono vivi.
Compito delle persone di buona volontà è urlarne l’esistenza all’umanità ignorante.
Condivido a pieno
Se ci fossero più intellettuali come te ,Amlo, l’Italia sarebbe senza dubbio un paese migliore.
Non è vero ma grazie
si spera che un giorno laggente si svegli e capisca, distinguendo il vero dal falso e l’ipocrita dall’onesto, e il mondo possa migliorare…ma così non sarà!
comunque consiglio a tutti la visione di “belluscone-una storia siciliana” per capire meglio questo discorso, per vedere come, in una terra tanto problematica, che ha tanto bisogno, si cerchi altro, e si abbia bisogno di altro
Pavolini il minculpop che prese parte al massacro dell’amba aradan fucilato a Dongo, o intendevi Pasolini?
Posto che Benigni non mi fa né caldo né freddo, e questo non da oggi, ma dai tempi di “Non ci resta che piangere” (però “La vita è bella”, tutto sommato, è un film che si può salvare), è stato dimostrato che i faraonici ingaggi alla Rai di Benigni sono uno dei motivi per cui il lavoro in Italia è pagato poco e male?
Perché “la ricchezza non è giusta”? E’ una cosa sbagliata antropologicamente, come la cattiveria o la noia, la delinquenza? O fa male alla salute, tipo il colesterolo alto? Perché un intellettuale (e quanti grandi intellettuali hanno fatto “paccate di miliardi” – oppa Fornero style – quanti soldi ha fatto Victor Hugo…), per essere un intellettuale “che ti mette vergogna”, dovrebbe dimostrare di esserlo dicendo fattarielli apodittici, tipo “Perché non è giusto, ecco”?
Ah, ma forse il problema è gramsciano. Per cui, l’intellettuale “serio” deve avere una posizione politica sull’attualità, ma non sua originale, non può proporre punti di vista nuovi, non allineati, deve schierarsi secondo gli schemi dati in modo da poter partecipare all’agone politico: deve dire che la ricchezza non è giusta, ed essere quindi “socialista/comunista”, oppure dire che è giusta, e diventare così “liberale/fascista”. Non ha il permesso di smarcarsi, di dire che se Benigni guadagni molti soldi con la Rai è cosa priva di ogni minima importanza, pur se ha delle ragioni per dirla: diventa un “relativista”, suppongo.
Meno male che non ci sono più gli intellettuali, allora.
Ecco, è tornato il re delle supercazzole.
e i calciatori? guadagnano tanto o poco?
Ecco! Ingiustissia!